Con la recente sentenza n.89 depositata il 15 maggio 2020 la Corte Costituzionale ha affermato che in tema di onorari degli ausiliari giudiziari, spettando all’amministrazione della giustizia la competenza per la determinazione degli adeguamenti non è certo irragionevole che questa possa valutare preliminarmente se procedere ad un adeguamento che consenta il mero recupero dell’inflazione o invece a più consistenti modifiche tariffarie secondo criteri di apprezzamento di natura politica.
Il Giudice può adeguare autonomamente gli onorari degli ausiliari al costo della vita? La pronuncia in commento trae origine dalla questione di legittimità costituzionale dell’art. 4, legge n. 319/1980 (Compensi spettanti ai periti, ai consulenti tecnici, interpreti e traduttori per le operazioni eseguite a richiesta dell’autorità giudiziaria) e degli artt. 50 e 54, d.P.R. n. 115/2002 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia – Testo A), nella parte in cui non prevedono che, in caso di omesso adeguamento periodico degli onorari mediante decreto dirigenziale, tale adeguamento possa essere effettuato dal giudice in sede di liquidazione del compenso.
La disciplina censurata. Le contestazioni del rimettente riguardano, in particolare, la disciplina della liquidazione deli onorari degli ausiliari commisurati al tempo impiegato per rendere la prestazione. Per questo genere di onorari, la legge n. 319/1980 prevede il sistema delle vacazioni (unità di tempo della durata di due ore). L’art. 50 del T.U. delle spese di giustizia rinvia ad un decreto interministeriale la fissazione dei livelli retributivi e l’art. 54 del medesimo T.U. prevede l’adeguamento di tali onorari ogni tre anni, in relazione alla variazione dell’indice ISTAT dei prezzi al consumo verificatasi nel triennio precedente.
Dopo che la misura degli onorari è stata determinata con decreto nella stessa data del citato T.U. delle spese di giustizia (30 maggio 2002), gli onorari non sono stati più adeguati e, pertanto, ancora oggi la liquidazione degli onorari a tempo avviene secondo i parametri del 2002.
La posizione del giudice a quo. In questa situazione, il rimettente ritiene che i magistrati siano costretti a compensare le prestazioni a tempo degli ausiliari secondo criteri di computo ormai gravemente inadeguati. L’oggetto delle sue censure, tuttavia, non è, direttamente, il quantum delle tariffe stabilito per le vacazioni. Il rimettente assume, piuttosto, che tutte le disposizioni indicate violerebbero l’art. 3 Cost., sotto il profilo della irragionevolezza, poiché contrasterebbe con la natura obiettiva ed automatica dei parametri di adeguamento triennale indicati dal legislatore la previsione che tale adeguamento possa avere luogo solo in esito ad un procedimento amministrativo complesso e non anche, in mancanza di questo, mediante un provvedimento giudiziale fondato sugli indici pubblici di aumento del costo della vita.
In altri termini, il giudice a quo non contesta direttamente la ragionevolezza di un meccanismo obbligatorio e automatico di adeguamento dei livelli di remunerazione delle prestazioni degli ausiliari, né lamenta che l’attuazione di tale meccanismo sia affidata all’autorità di governo. Censura, invece, in quanto manifestamente irragionevole, l’assenza di un meccanismo alternativo e sussidiario, affidato a ciascun giudice caso per caso, che consenta l’adeguamento degli onorari agli indici del costo della vita, laddove il procedimento disegnato dal legislatore resti inattuato.
Contro il mancato adeguamento c’è il rimedio del ricorso avverso il silenzio dell’amministrazione. La pronuncia in commento ricorda che sul tema dell’aggiornamento degli onorari attribuiti agli ausiliari del magistrato esiste una copiosa giurisprudenza costituzionale, dalla quale si possono ricavare due chiare indicazioni.
La prima è che la Consulta ha sempre ritenuto che il mancato adeguamento periodico dei compensi per gli ausiliari del magistrato è dipeso da omissioni amministrative, non risolvibili attraverso un intervento del giudice costituzionale, ma con ‘altri rimedi’, tra i quali, ora, ben può indicarsi lo strumento del ricorso avverso il silenzio dell’amministrazione, regolato dall’art. 117, d.lgs. n. 104/2010 (c.d. Codice del Processo Amministrativo). Ciò a dimostrazione che l’odierna esiguità dei compensi per gli ausiliari non dipende dal meccanismo normativo di adeguamento previsto dalla legge, ma dalla sua mancata applicazione ad opera dell’amministrazione, che ha lasciato immutati quei valori di partenza dal 2002: una pronuncia di illegittimità costituzionale, pertanto, risulterebbe incongrua. Senza contare, poi, che sarebbe paradossale dichiarare costituzionalmente illegittima una disposizione di legge solo in quanto disapplicata.
Il meccanismo dell’adeguamento va salvato. La seconda indicazione ricavabile dalla giurisprudenza costituzionale consiste nel fatto che la Consulta non ha mai espresso valutazioni negative sul meccanismo legislativo di adeguamento idonee a sorreggere le censure di irragionevolezza avanzate dal rimettente, nemmeno nelle decisioni che hanno accolto contestazioni in cui, sia pur indirettamente, tale meccanismo risultava coinvolto.
Ciò vale, in particolare, per le due sentenze che hanno dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 106-bis del T.U. delle spese di giustizia nella parte in cui non esclude che la diminuzione di un terzo degli importi, rispettivamente spettanti all’ausiliario del magistrato e ai consulenti tecnici di parte, sia operata in caso di applicazione di previsioni tariffarie non aggiornate (Corte Cost., n. 178/2017 e n. 192/2015). In queste sentenze, il meccanismo normativo di adeguamento dei compensi è accuratamente conservato e, anzi, fornisce sostegno allo stesso dispositivo di accoglimento: le due pronunce, infatti, subordinano la portata della propria ‘addizione’ al persistere dell’atteggiamento omissivo dell’amministrazione, al punto che la diminuzione richiesta degli onorari potrà essere nuovamente operata qualora l’adeguamento richiesto dal Testo Unico trovasse, infine, applicazione.
Il meccanismo previsto dalla disciplina in questione è, quindi, in grado di assicurare la ragionevolezza del sistema, pur a fronte di una riduzione delle tariffe e, pertanto, va considerato, non già come fonte di squilibrio, ma, al contrario, come elemento di stabilizzazione.
L’adeguamento degli onorari non dipende da una formula matematica. Il rimettente mira ad affiancare, al meccanismo di adeguamento delineato dalla legge, l’intervento alternativo e sussidiario del singolo giudice investito della richiesta di liquidazione, dal momento che sarebbe irragionevole non consentire l’intervento del giudice volto a quantificare, sulla base di un calcolo matematico, un semplice adeguamento tariffario, obbligatorio nell’an, nel quando e nello stesso quantum: un’operazione meccanica, insomma, che renderebbe addirittura superfluo l’intervento dell’amministrazione.
Tuttavia, per la Consulta, il ragionamento del giudice a quo poggia su un presupposto errato. Ed infatti, spettando all’amministrazione la competenza per la determinazione degli onorari in questione, non è certo irragionevole che questa possa valutare, preliminarmente, se procedere ad un adeguamento che consenta il mero recupero dell’inflazione o, invece, a più consistenti modifiche tariffarie, eventualmente incidenti anche sulla base di calcolo sulla quale operare la rivalutazione periodica, secondo criteri di apprezzamento di natura politica.
Inoltre, la stessa lettera dell’art. 54 del Testo Unico rende discutibile l’assunto secondo il quale l’adeguamento tariffario sarebbe vincolato, oltre che nell’an e nel quando, anche nel quantum, atteso che la disposizione in esame ragiona di un adeguamento triennale ‘in relazione’ alla variazione dell’indice dei prezzi al consumo: tale formulazione non esclude, quindi, che per l’amministrazione residuino margini discrezionali riguardo alla puntuale corrispondenza tra indici ISTAT e percentuale di adeguamento degli onorari.
La questione di legittimità costituzionale, pertanto, non è fondata. Ciò, tuttavia, non impedisce al giudice delle leggi di denunciare, per l’ennesima volta, la deplorevole e reiterata inadempienza dell’amministrazione nell’applicazione dell’art. 54 del T.U. delle spese di giustizia.